Mario era un ragazzino come tanti: amici, sport, scuola, famiglia. Possedeva una simpatia ed un’educazione uniche, che gli permettevano di integrarsi in tutti i contesti e di essere amato da persone di tutte le età.
Il 20 Maggio 2012, era di domenica, all’età di 14 anni, al ritorno da un viaggio scolastico in Germania, manifestò un semplice stato influenzale con decimi di febbre. In un paio di giorni la temperatura continuava ad aumentare e non andava via con i soliti antipiretici che normalmente vengono utilizzati. Non avendolo mai visto in quello stato, pensammo di portarlo in ospedale per le verifiche del caso. Al Pronto Soccorso del Santobono di Napoli, sospettarono una broncopolmonite con versamento pleurico, per cui suggerirono il ricovero.
Seppur ricoverato, veniva ancora trattato con antipiretici, la sua temperatura continuava a restare alta e iniziò a manifestarsi anche un rush cutaneo ed un leggero ittero. Dopo un paio di giorni di ricovero presso l’Ospedale Annunziata di Napoli, lo sottoposero ad aspirato midollare, l’esito scongiurò la leucemia, ma, visto che non si riusciva a diagnosticare la causa della febbre persistente, fu trasferito al Policlinico Federico II, reparto malattie infettive pediatriche.
In meno di 24 ore di accertamenti vari in quel reparto, fu trasferito al reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Santobono – Pausilipon, poiché si suppose si trattasse di Linfoistiocitosi Emofagocitica. Lì, purtroppo, gli esami ematologici rilevarono 5 fattori su 8 che davano alte probabilità che si trattasse proprio di HLH quindi, vista la febbre alta e Mario quasi sempre dormiente, ci suggerirono di firmare il consenso informato per sottoporre subito Mario al protocollo sperimentale HLH2004.
Al nostro stupore su tutto quanto si stava verificando, i medici iniziarono a prospettare la possibilità che la malattia potesse essere arrivata ad un “punto di non ritorno” ed in quel caso, non ci sarebbe più stato nulla da fare per salvargli la vita. Ci sentivamo soli e terrorizzati, non comprendevamo quel linguaggio “medichese”, non c’era nessun genitore tra i tanti presenti in reparto con cui condividere quel dramma che stavamo vivendo. Vedendo nostro figlio dormiente e con una costante temperatura che oscillava ancora tra i 40°/41° firmammo l’autorizzazione per iniziare subito il protocollo.
Già dal giorno dopo la prima infusione del farmaco, la temperatura iniziò a scendere e Mario iniziò a risvegliarsi. Il 6 giugno fu dimesso per continuare, come da protocollo, la terapia una volta a settimana in Day Hospital. All’ottava settimana, fine del protocollo, ci dissero che la malattia era ormai spenta. Per guarire definitivamente, bisognava sottoporlo ad un trapianto di cellule staminali.
Ci fu detto che in assenza di trapianto la malattia avrebbe potuto avere una recidiva e che difficilmente stavolta l’organismo avrebbe risposto ai farmaci, ma una volta riuscito il trapianto con l’attecchimento delle nuove cellule, Mario avrebbe potuto dimenticare l’HLH. La fortuna volle che gli esami di compatibilità di midollo indicarono la sorella Valeria, poco più grande di lui, perfettamente compatibile.
Il 31 Agosto dello stesso anno, confortati dalla volontà del ragazzo di guarire definitivamente, accompagnammo Valeria e Mario al Pausilipon, per sottoporre la prima alla donazione e il secondo al condizionamento pre-trapianto, per l’infusione delle nuove cellule.
Dopo una quindicina di giorni erano tutti fiduciosi, perché le nuove cellule avevano attecchito, c’era una naturale crescita dei globuli bianchi e, anche per come l’organismo di Mario stava superando la fase post trapianto, il responsabile del TMO iniziò a parlarci di possibili imminenti dimissioni.
Purtroppo, con il trascorrere dei giorni, iniziarono a manifestarsi delle complicanze forse causate dalla tossicità dei farmaci utilizzati. Mario perse la sua battaglia il 31 ottobre 2012 al Gaslini di Genova, dove era stato trasferito qualche giorno prima in gravissime condizioni.
Dal nostro ritorno a casa, i suoi amici: Manuel, Davide, Naomi, Titti, Alessandro e altri, che come noi non riuscivano a farsene una ragione, venivano spesso a farci visita. In una di quelle visite, guardando negli occhi quei ragazzi e ricordando la sensazione di solitudine e di smarrimento che noi genitori avevamo vissuto nei reparti di oncoematologia, insieme a loro decidemmo di far nascere l’Associazione Italiana Linfoistiocitosi Emofagocitica – Mario Ricciardi’s Brothers aggiungemmo questo sotto nome che ricordasse appunto Mario e i suoi amici, oggi ancora volontari dell’associazione.
Oltre alle attività quotidiane dell’associazione, di divulgazione e pianificazione di progetti di ricerca scientifica di base, oggi esiste un gruppo, costantemente in contatto, dove i genitori che ci contattano attraverso il sito o attraverso i social, perché magari ai loro bambini è stata diagnosticata l’HLH, vengono inseriti, in modo che non si sentano soli ad affrontare questo dramma, che possano ricevere tutte le ultime informazioni che difficilmente riuscirebbero a reperire e, soprattutto, in modo che possano contare sulle esperienze di chi ha già attraversato questo ostile percorso.
Quello che forse poteva aiutarci a salvare il nostro Mario.
Papà Ugo
Fondatore e presidente dell’AILE onlus