“Il dolore di una malattia che colpisce una persona cara non discrimina tra un fratello, un padre, un nonno o, come è successo a noi, un figlio… anzi due!
La venuta al mondo dei nostri gemellini Paolo e Antonio non fu semplice. Dopo tre mesi di terapia intensiva tornammo finalmente a casa, pensando che il peggio fosse passato, ma purtroppo non fu così. Dopo solo due mesi dalle dimissioni, per uno dei gemelli, Paolo, iniziò un periodo di febbre alta che non tendeva a calare e, a quel punto, tornammo di nuovo in ospedale dove il piccolo rimase ricoverato un mese senza però migliorare, anzi i medici, visti i peggioramenti, furono costretti a ricorrere alla rianimazione neonatale.
Il Primario del reparto sospettò potesse trattarsi di una malattia rara, per cui chiese consulenza al Bambino Gesù di Roma, dove le suggerirono di eseguire dei prelievi specifici sul piccolo Paolo e sugli altri componenti della famiglia e, in attesa degli esiti, disposero il trasferimento di nostro figlio al Bambino Gesù.
Gli esiti non tardarono ad arrivare e purtroppo confermarono la Linfoistiocitosi Emofagocitica (HLH). Ma, ancor più duro colpo fu scoprire che la diagnosi era uguale anche per l’altro gemellino, Antonio.
Ci trasferimmo tutti a Roma, dove si decise di sottoporre entrambi i bambini al protocollo HLH2004. Tra infezioni e vari ricoveri, finalmente il 12 febbraio 2012, arrivò il midollo da donatore non consanguineo ma compatibile al 100 % ed entrambi fecero il trapianto.
Dalla data del trapianto Paolo ha avuto non pochi problemi mentre Antonio molti meno. L’importante però è che oggi sono con noi, più monelli che mai e con tanta voglia di sorridere alla vita e agli altri.
La vita ha voluto metterci a dura prova, ma l’insegnamento che abbiamo tratto dalle vicissitudini di questi due piccoli ma grandi guerrieri è che non bisogna mai smettere di credere e di sperare.
Circa 4 anni fa (nel 2014) Ugo Ricciardi, fondatore e presidente dell’AILE onlus ha trovato noi e ci ha fatto conoscere l’associazione. Mi sono sentita subito parte integrante di questa famiglia e insieme a loro nasceva e cresceva la speranza di far prosperare l’associazione affinché potessimo sempre più provare a rispondere a tutte le domande che una famiglia si pone quando scopre che uno dei suoi bambini è malato; perché non è possibile immaginare quanto sia devastante vedere la vita dei tuoi figli che ti sta scivolando dalle mani e nessun medico ti sa dare delle risposte certe…
I miei bambini sono stati fortunati a differenza di tanti loro compagni che hanno avuto questa malattia e che purtroppo non ce l’hanno fatta! Ecco, è per loro e per le loro famiglie che ora sono parte attiva dell’associazione. Non vorrei mai più vedere negli occhi di un genitore la paura… il buio… l’ignoto che HLH purtroppo ti dà e che ti segna per tutta la vita.
A proposito di vita: oggi il nostro motto è Vita chiama vita!”
Mamma Annalisa