Il Dr.Merli lavora presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Dipartimento di Ematologia / Oncologia pediatrica, terapia cellulare e genica, Roma, diretto dal Prof. Franco Locatelli. Fa parte dell’equipe del centro per il trapianto Emopoietico e Terapie Cellulari. Il gruppo si focalizza sulla messa a punto di nuove tecniche di trapianto da donatore famigliare HLA-parzialmente compatibile, con lo scopo di identificare un donatore disponibile ogni qualvolta sia necessario, riducendo i rischi associati allo sviluppo di reazioni avverse. L’articolo proposto per la competizione il Miglior Articolo Scientifico si intitola “Role of interferon-γ in immune-mediated graft failure after allogeneic hematopoietic stem cell transplantation”. Questo studio clinico ha voluto mettere in evidenza quali siano i meccanismi del rigetto che si verificano dopo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche nei bambini.
Il lavoro di Merli e collaboratori affronta il problema dell’insufficienza del trapianto e rigetto nota come Graft Failure (GF) nei pazienti che hanno subito un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche.
Questa problematica ad oggi rappresenta una delle principali cause di mortalità dopo un trapianto nonostante negli ultimi dieci anni l’incidenza di questa problematica si sia ridotta e tutt’oggi, in assenza di trattamenti efficaci, in caso di insorgenza l’unica alternativa è un secondo trapianto, possibilmente da diverso donatore.
I fattori di rischio della GF sono diversi e molti studi sono stati indirizzati negli ultimi anni a studiare il rigetto immuno-mediato evidenziando che tra le cause principali c’è la presenza nell’ospite di cellule T natural killer che sopravvivono alle terapie di condizionamento e che scatenano una reazione contro le cellule del donatore. Tuttavia, allo stato attuale i meccanismi coinvolti in questo fenomeno non sono ancora del tutto chiari.
Pertanto, il lavoro presentato dal Dott. Merli descrive uno studio prospettico sui meccanismi che scatenano la GF con lo scopo di identificare dei marker biologici per a) predire in fase precoce la comparsa di rigetto e b) avviare terapie specifiche contro questi biomarcatori con agenti biologici. Per fare questo il gruppo di ricercatori ha studiato sia i livelli di citochine e chemochine nel sangue periferico, sia caratteristiche cellulari specifiche in biopsie di midollo osseo nei pazienti con questa complicazione. In particolare, gli autori hanno confrontato 15 pazienti con problemi di rigetto dopo trapianto con patologie non maligne con 15 pazienti che non presentavano problemi di rigetto. Hanno poi approfondito il ruolo dell’interferone gamma (INFγ) in questa complicazione in modelli murini e successivamente hanno testato un possibile trattamento con terapia mirata proprio contro l’INFγ.
Dal punto di vista clinico i pazienti con GF presentavano caratteristiche comuni come febbre, incremento di LDH o ferritina nel sangue a circa 6 giorni dall’infusione midollo, inoltre i livelli di citochine/chemochine hanno mostrato differenze significative tra i pazienti con problemi di rigetto e i controlli, soprattutto per alcune, come l’IFNγ CXCL9, IL10 and TNFα già a 3 giorni dal trapianto. Un altro aspetto comune è l’attivazione di macrofagi e linfociti T, con riduzione della percentuale di mielociti e eritrociti e un aumento di cellule apoptotiche (cioè destinate a morte) collegato anche a danni dello stroma e conseguenti edemi a livello delle biopsie midollari. Da segnalare che non è stata trovata associazione con problemi di chimerismo. La similarità di questi aspetti con le caratteristiche cliniche osservate in pazienti HLH, hanno spinto gli autori a concentrarsi proprio sul ruolo dell’ IFNγ e hanno così dimostrato che una misura dei livelli di IFNγ e delle citochine associate come la CXCL9 già a 3 giorni dalla infusione, possono essere un metodo efficace per predire la complicazione di rigetto, dunque questo può rappresentare un valido marcatore di questa complicanza, proprio perché i livelli di CXCL9 riflettono i livelli di IFNγ prodotto negli organi target dell’infiammazione che si scatena successivamente. Questo suggerisce anche che proprio IFNγ può essere un target terapeutico per bloccare il rigetto. Utilizzando un modello murino già validato, gli autori hanno infatti osservato che i linfociti T hanno un ruolo importante nel mediare la GF, scatenando una over-produzione di molecole responsabili dell’infiammazione. Per questo ulteriore passaggio presentato dagli autori è stato quello di testare terapie di neutralizzazione dell’IFNγ come prevenzione o trattamento di questa complicazione. Questo è stato fatto anche su pazienti HLH sottoposti a successivo trapianto dopo un primo fallimento in associazione a trattamento con emapalumab secondo il protocollo approvato (NI-O501). I risultati sebbene preliminari e su un numero ristretto di pazienti suggeriscono che la GF immuno-mediata può essere trattata con una soppressione dell’IFNγ. Oltre a fornire prove per ulteriori studi sull’uso di marcatori per consentire un’identificazione rapida e non invasiva di pazienti ad alto rischio di sviluppare questa grave complicazione, l’aumento dei livelli sierici di IFNγ e CXCL9 trovato in pazienti GF, forniscono una logica per studio di una terapia mirata (cioè terapia anti-IFNγ) in questa complicazione. Gli autori concludono che stanno progettando un trial clinico più ampio sull’uso di emapalumab per la prevenzione e / o trattamento della GF in pazienti ad alto rischio di sviluppo di questa complicazione.
Articolo
Merli P, Caruana I, De Vito R, et al. Role of interferon-γ in immune-mediated graft failure after allogeneic hematopoietic stem cell transplantation. Haematologica. 2019;104(11):2314–2323.